Monopoli: il mito della caverna di Platone nelle opere di Gianni Comes
<<Dopo tutto questo – dissi – paragona la nostra natura, in rapporto all’educazione e alla mancanza di educazione, a una condizione di questo tipo. Immagina dunque degli uomini in una dimora sotterranea a forma di caverna, con un’entrata spalancata alla luce e larga quanto l’intera caverna; qui stanno fin da bambini, con le gambe e il collo incatenati così da dover restare fermi …>>: così all’inizio del libro VII della Repubblica, Platone propone la celebre immagine della caverna come rappresentazione della condizione umana. Vi sono raffigurati gli uomini come prigionieri in un antro oscuro, costretti a guardare le ombre proiettate sulla parete di fondo dalle cose reali e dagli uomini che passano davanti all’entrata, illuminati da dietro da un gran fuoco. I prigionieri non hanno altro che ombre e voci per ragionare sulla realtà, e non hanno la minima idea di come siano fatte veramente le cose: così, legati alle apparenze, anche gli uomini pensano per impressioni fugaci e per sentito dire, credendo che le opinioni siano realtà. L’allegoria prosegue descrivendo un evento eccezionale: uno dei prigionieri, riuscito a liberarsi, getta lo sguardo dapprima oltre il muretto che nasconde il mondo “reale”, quello concreto, e poi fuori dalla caverna e vede il mondo delle idee, dei modelli,, illuminato dal Sole, simbolo dell’idea del Bene; tornato a liberare i prigionieri delle ombre, non viene creduto e viene ucciso, così come Socrate, maestro di Platone Al centro dell’allegoria troviamo il cambiamento radicale di prospettiva che separa il primo tipo di conoscenza dal secondo; nel prigioniero liberato vediamo il filosofo, che giunge con il pensiero alle verità razionali, ma non riesce a comunicare con chi giudica solo attraverso la sensibilità. L’artista monopolitano Gianni Comes, con la sua straordinaria sensibilità artistica e poetica, non poteva restare indifferente al messaggio e lo ha tradotto, egregiamente, nelle sue opere.
Cosimo Lamanna