Al vaglio rinvio del referendum di marzo per Coronavirus
I primi a chiedere uno slittamento della consultazione popolare sono stati i Radicali e +Europa. Ma adesso, in piena emergenza coronavirus, l’ipotesi di rinviare il referendum costituzionale sul taglio del numero dei parlamentari inizia a interrogare anche il governo. Che prenderà una decisione entro giovedì, annuncia il ministro per i rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà. Tra le possibili date che si starebbero prendendo in esame le più gettonate sarebbero il 17 e il 24 maggio. Anche perché non viene affatto escluso che il ‘verdetto’ sulla riforma bandiera dei 5 stelle possa essere accorpato alle Regionali e comunali, in un unico election day. Anche se non ci sono precedenti. Ma nulla osterebbe, è la convinzione di alcuni costituzionalisti, tra cui il dem Stefano Ceccanti. Inoltre, è ancora il ragionamento che sta prendendo piede sia nella maggioranza che tra alcuni esponenti di governo, chiamare i cittadini alle urne per le elezioni locali e per il referendum nella stessa giornata consentirebbe anche un risparmio in termini di costi, visto che le prime risorse sono già state impegnate in quanto la macchina operativa si era già messa in moto: ad esempio, sono stati spediti i plichi contenenti le schede per gli italiani all’estero. Per spostare la consultazione popolare, ora in programma domenica 29 marzo, senza una nuova legge occorrerebbe un decreto del Presidente della Repubblica, da emanare entro il 23 marzo, così da far svolgere il referendum in una data compresa tra il 50mo e il 70mo giorno successivo al decreto. Al di là degli aspetti tecnico-normativi, al Quirinale si ritiene che la decisione spetti al governo, sentite tutte le forze politiche, sia di maggioranza che di opposizione. Secondo altri tecnici esperti in materia, la strada da seguire sarebbe quella dell’iniziativa assunta dal ministero dell’Interno, che dovrebbe convocare il Comitato promotore dei senatori che hanno raccolto le firme e chiesto l’indizione del referendum. Con il loro via libera, e il placet delle forze politiche, si potrebbe emanare un decreto che incasserebbe senza problemi l’ok del Parlamento. Di certo, le misure restrittive assunte per evitare il diffondersi del contagio stanno limitando la campagna informativa e rischiano di mettere a dura prova non solo la macchina organizzativa – con l’aggravante di molti istituti scolastici chiusi per l’emergenza – ma soprattutto la partecipazione dei cittadini alla consultazione popolare. Dunque, sembra sempre più concreta la possibilità di un rinvio a maggio del referendum. Per Ceccanti “rinviare il referendum è una scelta delicatissima che si può fare per decreto, ma certo ci devono essere ragioni serissime, come l’indisponibilità dei locali scolastici. Qualora si decidesse di rinviare mi sembra difficile non accorpare il referendum alle elezioni regionali, perché altrimenti in molte località, a poche settimane di distanza, le urne si aprirebbero tre volte: primo turno amministrative con regionali, secondo turno amministrative e referendum. Peraltro non esiste nessun divieto di accorpamento per i referendum confermativi. Ce n’è solo uno per gli abrogativi, ma riguarda solo le elezioni politiche, tant’è che nel 2009 il referendum abrogativo Guzzetta fu abbinato al secondo turno delle amministrative proprio per evitare tre scadenze diverse ravvicinate”. A queste considerazioni, poi, si aggiungono anche alcuni ragionamenti piu’ politici e che riguardano la durata della legislatura e il destino del governo. Ormai assodata l’impraticabilita’ della strada delle elezioni anticipate prima dello svolgimento del referendum, spostare a maggio la data della consultazione popolare, per alcuni, significherebbe blindare l’esecutivo fino a tutto il 2020. La Fondazione Einaudi (che ha promosso la raccolta firme assieme ai senatori Cangini, Pagano e Nannicini) si dice contraria al rinvio e, comunque, la consultazione popolare non può essere accorpata, è la convinzione, alle regionali. In ogni caso, si legge in una nota, il governo – al quale chiedono un incontro – prima di decidere ha “l’obbligo politico, morale e istituzionale di consultare i promotori”. Per il Pd l’ultima parola spetta a Conte. Più scettico il Movimento 5 stelle. Il capo politico Vito Crimi, spiega all’AGI: “Non penso si debba rinviare un appuntamento così importante”. Detto questo, “non è una decisione esclusivamente politica, ma deve basarsi su un approfondimento accurato e valutazioni tecniche sulla possibilità di tutelare la salute pubblica in primis”, conclude il pentastellato. Matteo Renzi alcuni giorni fa, in un’intervista, spiegava: “Penso che alla luce del coronavirus si debba anticipare il decreto sul taglio delle tasse. Il referendum peraltro non interessa nemmeno gli addetti ai lavori”. Per Matteo Salvini “decide il governo”. La Lega è schierata a favore del si’ al taglio degli eletti e non si pronuncia sull’opportunità o meno di un rinvio. Infine, Giorgia Meloni si rimette alle decisioni delle autorità competenti, anche se “io sarei per rispettare la scadenza”, anche perché “finchè non si celebra il referendum ci diranno che non si può votare”. (Fonte AGI)