Polignano, Centro Antiviolenza diffida Temptation Island (Canale 5)
Alla Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia
Prof.ssa Elena Bonetti
Alla presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio
Senatrice Valeria Valente
Alla presidente Women Against Violence Europe (WAVE)
avv.ta Marcella Pirrone
CANALE 5 CON TEMPTATION ISLANDS NORMALIZZA LA VIOLENZA SULLE DONNE
Nella puntata del 16 settembre 2020 di TemptationIslands, il reality show di Canale 5, condotto da Alessia Marcuzzi, in cui si mettono alla prova i sentimenti di coppie rigorosamente etero, già provate da incertezze, timori, dubbi e spesso gelosia, è andato in onda una rappresentazione di come si normalizzi la violenza maschile sulle donne nel nostro paese.
Uno dei concorrenti, parlando con una tentatrice (sono 22 le tentatrici e i tentatori che hanno il compito di mettere alla prova la tenuta della coppia) sul rapporto con la fidanzata, afferma di avere il controllo sulla sua mente, di vietarle la palestra, la frequentazione delle amiche, l’uso dei social e di non discutere con lei perché non è degna, ecc.. Inoltre, come altri partner maltrattanti, dichiara che per sé stesso non accetterebbe simili limitazioni e controlli.
Un pubblico di quasi tre milioni di telespettatori ha assistito alla normalizzazione della violenza psicologica sulle donne, fatta passare come eccesso di “gelosia”. La responsabilità di questa pericolosa distorsione della realtà non è solo del concorrente, sia che le affermazioni di costui si riferiscano a proprie condotte, sia che si tratti di un copione per rendere più attrattivo il programma.
Nella catena di responsabilità andrebbero annoverati i produttori dei programmi televisivi (dirigenza della rete TV, regista, autori, casa di produzione) che veicolano contenuti sessisti e violenti nell’indifferenza sulle ricadute sociali e culturali degli stessi.
La violenza psicologica si manifesta con insulti, umiliazioni, colpevolizzazione e manipolazione, il maltrattante persegue l’isolamento della partner tramite il controllo sui contatti, sulle frequentazioni, sulla libertà di movimento, sugli interessi e gli hobby. La gelosia, in contesti come quello del reality, è la “semplice ed esaustiva” giustificazione di tutto, mentre il punto è capire che il problema è l’intento degli uomini, di certi uomini, di mettere un limite alla libertà vitale delle donne.
A conferma, la Convenzione di Istanbul prevede, all’articolo 33, che gli Stati parte debbano “penalizzare un comportamento intenzionale mirante a compromettere seriamente l’integrità psicologica di una persona con la coercizione o le minacce”.
La violenza psicologica spesso precede o accompagna la violenza fisica, sessuale ed economica e, quando i/le figli/e minori sono testimoni diretti o indiretti del maltrattamento della madre, anche la violenza assistita. Nei casi più gravi la violenza raggiunge epiloghi letali quale l’uccisione della donna e/o dei/delle figli/e; in alcuni casi l’uomo uccide i/le figli/e per punire crudelmente la scelta della donna di porre fine alla relazione violenta. Nel 2018 sono state 115 le donne uccise in virtù del loro genere, in prevalenza da partner, ex partner e parenti.
In Italia l’informazione, la comunicazione televisiva e i social media, pervasi da una mentalità patriarcale, perpetuano stereotipi e discriminazioni sulla base del genere, dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, contribuendo ad alimentare la violenza maschile sulle donne e di genere, diffondendo messaggi sessisti, omofobi e transfobici.
Eppure l’art. 17 della Convenzione di Istanbul, in vigore in Italia dall’1/8/2014, prevede che il sistema della comunicazione “partecipi all’elaborazione e all’attuazione di politiche e alla definizione di linee guida e di norme di autoregolazione per prevenire la violenza contro le donne e rafforzare il rispetto della loro dignità”.
In assenza di azioni, misure, interventi idonei ed efficaci per attuare questo obiettivo, chiediamo con urgenza, come già raccomandato dal Rapporto delle associazioni di donne sull’attuazione della Convenzione di Istanbul in Italia (ottobre 2018), “l’emanazione di una legge contro il sessismo nei media (pubblicità, stampa, social network, ecc.) entro la quale sia definito il significato di ‘messaggio sessista’, che preveda il meccanismo di denuncia/segnalazione con sanzioni amministrative e pecuniarie e l’istituzione di un osservatorio indipendente sul sessismo mediatico”.
Noi, centri antiviolenza, case rifugio, case delle donne, movimenti femministi e transfemministi, perseguiamo con determinazione questo cambiamento perché siamo consapevoli che la comunicazione intossicata da stereotipi e pregiudizi ostacola la lotta per la prevenzione e il contrasto della violenza maschile sulle donne e di genere.
Associazione Io Donna – Centro antiviolenza – Rosa Cecilia Caprera, Brindisi
Associazione Safiya Onlus -Centro antiviolenza – Anna Maria Montanaro, Polignano a Mare (BA)
Associazione Alzàia Onlus, Cosma L’Ingesso – Taranto
Osservatorio Giulia e Rossella – Centro antiviolenza Onlus i. s. Tina Arbues, Barletta
Centro antiviolenza Save, Ilaria Langiano – Trani
*I centri antiviolenza firmatari aderiscono all’associazione nazionale D.i.Re (Donne in rete contro la violenza).
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