Un nuovo ambulatorio dedicato alla cura delle patologie neurologiche nel carcere di Bari
Un nuovo ambulatorio dedicato alla cura delle patologie neurologiche all’interno del carcere di Bari. La ASL ha avviato per la prima volta un servizio ambulatoriale a disposizione dei detenuti per gestire il fenomeno delle demenze e delle malattie neurodegenerative ad esse collegate. La popolazione detenuta potrà contare già a partire da luglio su un team di specialisti, composto da neurologo, neuropsicologo e tecnico di fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare, oltre a ricevere prestazioni quali esami strumentali, test diagnostici e screening.
L’attivazione del centro si inserisce in un più ampio progetto sperimentale “Brainspace” (spazio cerebrale), nato dalla sinergia della Medicina penitenziaria, della Neurologia dell’Ospedale Di Venere, diretta dal dottor Giuseppe Rinaldi e della Unità operativa complessa Programmazione, Innovazione e Continuità Ospedale Territorio, guidata dalla dottoressa Silvana Fornelli.
«L’ambulatorio rappresenta la prima tappa – spiega Fornelli – di un percorso che entro la fine dell’anno vedrà nascere un Centro per la diagnosi e cura delle demenze o disordini neuro cognitivi nella popolazione detenuta degli Istituti penitenziari afferenti alla Medicina Penitenziaria della ASL di Bari, e in particolare nell’istituto penitenziario di Bari, che ospita un’alta percentuale di pazienti detenuti ad alta fragilità sanitaria, e rappresenta un hub per la Medicina penitenziaria in tutta la regione».
La costituzione di un centro dedicato alle patologie neurologiche ha diversi obiettivi e vantaggi: ridurre le visite all’esterno del carcere verso altre strutture sanitarie, favorire i percorsi riabilitativi neurologici all’interno dell’istituto penitenziario, ridurre i tempi di attesa in carcere e di conseguenza le liste di attesa della popolazione generale, oltre a fornire una risposta più rapida alle richieste di salute dei detenuti.
Alcuni studi dimostrano che l’invecchiamento delle persone detenute è più precoce rispetto al resto della popolazione, tanto che la loro età biologica si stima essere di 10 anni più elevata rispetto alla loro età anagrafica. Questo dipende da molteplici fattori: stile di vita, convivenza in spazi comuni o celle spesso affollate, mancanza di attività, deprivazione di stimoli e perdita di riferimenti familiari.
Per il direttore della Medicina Penitenziaria, il dottor Nicola Buonvino, «La presenza di deficit cognitivi e disabilità spesso sono misconosciute da chi opera all’interno del mondo penitenziario – spiega – e questo può condurre ad un peggioramento della condizione del paziente/detenuto affetto da demenza, scatenando anche disturbi del comportamento. Diventa quindi fondamentale – aggiunge Buonvino – in ambito penitenziario individuare precocemente queste sintomatologie precoci al fine di ridurre anche il rischio di psichiatrizzazione della popolazione detenuta».
Le principali cause di demenza sono le malattie neurodegenerative. I pazienti affetti da demenza presentano quadri clinici molto eterogenei con uno spettro di disturbi cognitivi e comportamentali e di personalità molto diverse da paziente a paziente. Il declino cognitivo può essere il primo sintomo di complessi quadri clinici riconducibili a malattie neurologiche del sistema nervoso centrale per cui è indispensabile utilizzare strumenti diagnostici adeguati oppure alla compromissione della circolazione cardio-cerebrale per tabagismo, obesità, diabete, ipertensione arteriosa, quali fattori di rischio per ictus e demenza vascolare.
Varie figure professionali possono contribuire ad intercettare iniziali segni di malattia – l’infermiere, l’assistente sociale, gli specialisti neurologi, psichiatri, psicologi e tecnici sanitari della perfusione, in una logica di collaborazione multidisciplinare per accompagnare il detenuto verso un percorso di cura, tempestivo ed efficace.