Gioia del Colle, un anno senza Nicola Savino, il ricordo di Enzo Lavarra

Nicola manca alla vita da un anno. E ci mancherà per sempre. Ci siamo raccolti a ricordarlo nella Chiesa Madre, “che era casa sua di fronte a casa sua“, ha detto mio fratello. Siamo stati accanto ad Anna, a Filippo, a tutti quegli che gli hanno voluto bene.

Amici di decenni più recenti; amici della infanzia e della bella gioventù, di un   mezzo secolo insieme.

Come avveniva un tempo le famiglie, fratelli e cugini, abitavano più o meno nella stessa strada. Cosi per noi a Via Mastandrea. Fra la Farmacia sul Corso Garibaldi di don Fedele Antonicelli e la Chiesa madre. In mezzo la Padula, la falegnameria, la tintoria, la sartoria di Mastro Ciccio – suo zio. Casa di Vito Marotta, casa nostra Bellacicco Lavarra Pavone, casa di Alessio e Sisina, papà e mamma di Nicola, Filippo e Saria.

Anni dei giochi semplici di strada; e alla Parrocchia per il ping pong e per servire messa da chierichetti. Sul sagrato era finzione gioiosa di Cappa e Spada: dalle scalette (bacchette in legno che residuavano dalle stoffe del negozio di Alessio) ricavavamo le spade e le incrociavamo. Fino alla befana, quando arrivavano pistole con le capsule. Innocue ma con simulazione perfetta di atmosfera western. In estate alla Murgia di nostro nonno, dove da giovani in epoca di ristrettezze nel secondo dopo guerra avevano condiviso un tozzo di pane e formaggio i fratelli Savino: Alessio, Saverio, Mastro Ciccio. Quest’ultimo emigrò a Milano negli anni sessanta con le classiche valigie di cartone; e le nostre famiglie e noi bambini in strada a Via Mastandrea con le lacrime agli occhi a salutarli.

Perciò la Murgia i giorni alla Murgia continuavano lieti anche per noi. Nel 1966

l’Italia giocava con la Corea e fu eliminata. L’altro zio di Nicola, zio Ciccio anche lui negoziante, ci fece giocare con una palla di fortuna e ci premiò con “un caldarella“ per impastare la calce a mo’ di trofeo. Vecchia e arrugginita. Ci fece vincere contro un avversario immaginario, con una radio cronaca alla Sandro Ciotti.

La elevammo al cielo come la Coppa del Mondo. Spensierati e impegnati furono gli anni della giovinezza. Divisi fra la politica e divertimento e viaggi. Per i secondi da piazza Umberto a mangiare anguria dopo l’Arena Castellano, a Castellaneta Marina.

Al Carnevale di Sammichele. Nicola provvedeva agli abiti di scena. Un anno da suore per le ragazze, mentre consacrò Tommaso Montrone vestito da Papa. Fu la mascherata più acclamata del Carnevale, “dal pubblico e dalla critica”. Eravamo una combriccola più o meno della stessa età. Il Pachistano era già più che cinquantenne; veleggiava da decenni da una generazione all’altra, e ci accompagnò per intere stagioni . Copriva di scherzi tutti , ma ne pativa anche di nostri. Memorabili.

I viaggi vedevano un quartetto nella 127 verde di Filippo, con Guido Addabbo e Pasquale Castellaneta. Zaino e tenda da neofiti del campeggio; e giacca buona per certe occasioni. Come a Cap Ferrat o in Costa Smeralda. O in Turchia, ma qui blue jeans e basta. Al calcio somigliava a Sivori. Finte e palloni a effetto. Estroso e funambolico.

 

In politica Nicola fu nel fiume della sinistra (con Gianni Agnelli come mito di stile); direi fu più simpatizzante rispetto alla mia militanza organica delle grandi città. nel Pci. A metà degli anni ‘80 si parlò in sezione di candidarlo a Sindaco, ma lui scelse di rimanere nella sua scelta di vita: il negozio.

Il negozio è stato luogo di inventiva coraggiosa, di nuove sfide commerciali per anticipare a Gioia le tendenze Ed è rimasto sempre luogo di relazioni con le persone. Centro di promozione di eventi pubblici e collettivi, estranei a ogni interesse venale.

Secondo la scuola del padre. Ma anche di Pasquale Sabato. Storico commesso del negozio di Via Principe Amedeo. Pasquale, che somigliava a don Lurio, era un artista. Dava sempre la taglia più giusta. Ma quando in negozio rimaneva solo un abito troppo largo per il “malcapitato“ lo imbottiva di ovatta spessa e scura, quella dei sarti, e l’abito di spalla calzava a pennello.

Nicola ha seguito e sostenuto come un fratello tutte le vicende della vita di ognuno. E con orgoglio e discrezione le strade mie e di Biagio. Anche quando mancavano mesi dall’ultimo incontro, era come se ci eravamo detti ciao la sera prima. “Dai un bacio a Tea. Porta questa maglietta a Giovanni “.

La vita, si sa, è gioia; la vita è dolore.

Nicola ha affrontate le sue pene con mestizia e riserbo. Mai parola aspra contro il “destino”. Con accanto l’affetto infinito di Anna. Fino allo sorso anno. Per chi crede egli vive e segue da lassù. Per i credenti e per i non credenti consola la parola di Sant’ Agostino rivolta ad Anna, e che Anna ha stampato sul retro del ricordino: “Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza. Ritroverai il mio cuore, ne troverai la tenerezza purificata. Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace “.

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