Cosa prevede il decreto “Cura Italia” per le partite IVA
ACCI (ASSOCIAZIONE CONSUMATORI CITTADINI ITALIANI)
Tante sono le richieste prevenute in questi ultimi giorni alle nostre sedi territoriali in cui ci è stato richiesto di fare chiarezza su un tema complesso come quello delle agevolazioni previste dal decreto “Cura Italia” nei confronti delle partite IVA in generale e lavoratori autonomi, commercianti, artigiani e coltivatori diretti nello specifico.
Innanzitutto, vorremmo pubblicamente ringraziare tutti coloro i quali sono, per varie ragioni, impegnati a combattere questo terribile virus COVID-19. In particolare un grazie di cuore è rivolto a tutti gli operatori del Settore Sanitario e delle Forze dell’Ordine che esposti e impegnati in prima linea per difendere la vita umana di ognuno di noi a discapito della propria.
“Quando, qualche giorno fa, il presidente nazionale ACCI (Associazione Consumatori Cittadini Italiani) Antonella Vinella, che ringrazio e saluto, mi contattò per comunicarmi che aveva pensato a me per trattare questo argomenti tanto delicato quanto complesso, come i provvedimenti a sostegno alle imprese previsti dal decreto ‘Cura Italia’, non nascondo che ebbi qualche perplessità e timore a confermare il mio consenso.” – afferma il Dott. Miglietta, Esperto ACCI – “Sono le insidie che si nascondono dietro e dentro ogni singolo provvedimento firmato dal Presidente Sergio Mattarella il 17 marzo scorso, tanto che, ancora oggi, professionisti e colleghi più esperti del sottoscritto non hanno individuato una linea omogenea su alcune problematiche importanti.” – ci tiene a precisate Miglietta – “Nonostante ciò, proverò a rispondere ai quesiti che il decreto ‘Cura Italia’ ha evidenziato in materia di agevolazioni alle Partite IVA.”
Il Presidente del Consiglio dei Ministri, l’Avvocato Giuseppe Conte, durante la conferenza stampa di presentazione del decreto legge n. 18 del 17.03.2020, il c.d. decreto “Cura Italia”, varato per fronteggiare la grave crisi economica seguita all’emergenza del Coronavirus, ha dichiarato: “Abbiamo previsto uno stanziamento di 25 miliardi di euro a sostegno dei redditi di tutti i cittadini italiani. Nessuno deve sentirsi abbandonato. Lo Stato c’è!”.
Di questi 25 miliardi, però, 10 sono destinati al sostegno dei lavoratori dipendenti e soltanto 3 ad autonomi e liberi professionisti. Una platea composta da circa 5 milioni di italiani, che lavorano come professionisti non iscritti ad un ordine professionale, co.co.co. iscritti alla gestione separata INPS, artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni, mezzadri, stagionali dei settori del turismo e lavoratori del settore dello spettacolo. Il confronto dei valori poc’anzi espressi permette di comprendere appieno quante possibilità avranno questi “figli di un dio minore” di superare indenni l’emergenza da Covid-19.
Un grande matematico polacco, Stefan Banach, diceva che i bravi matematici sono capaci di cogliere le analogie. Lo stesso dovrebbe valere anche per gli statisti. Anche il bravo statista dovrebbe essere in grado di cogliere le analogie e per farlo, naturalmente, è fondamentale che possieda in primo luogo il sapere tecnico. Ma non è sufficiente. Per comprendere le analogie, lo statista non può accontentarsi di conoscere le regole interne al sapere ma è necessario che impari a osservare dall’esterno, queste regole, in modo da coglierne con distacco la natura e i limiti.
Pensiamo, ad esempio, all’indennizzo di 600 euro, su base mensile, non tassabile, previsto dall’art. 27 in favore dei lavoratori autonomi e delle partite IVA. Il provvedimento stabilisce che: “a qualunque lavoratore autonomo iscritto alla gestione separata dell’INPS, che non sia pensionato o iscritto ad altra previdenza obbligatoria, sarà riconosciuta una indennità per il solo mese di marzo di 600,00 euro”. Sulla base del dettato letterale appena ascoltato, chiedo ora a tutti voi radioascoltatori se ritenete questo provvedimento coerente con le finalità dichiarate dal premier Conte. Più nel dettaglio, secondo voi, è coerente escludere dal diritto all’indennità un agente, un rappresentante di commercio oppure un giovane avvocato iscritto alla cassa di previdenza prevista dal suo ordine? Ancora, ritenete coerente riconoscere identica indennità ad un professionista che negli ultimi dieci anni ha dichiarato redditi per 80.000,00 euro e ad un suo collega che invece ha dichiarato 15.000,00 euro?
Tutte le leggi, diceva Jeremy Bentham, sono invenzioni umane imperfette e sempre mutevoli, anche quelle più autorevoli. Come dimostra l’istituzione del fondo per il reddito di ultima istanza.
A parte l’indennità di 600,00 euro, rilasciata dall’INPS con il “semplice” click sul proprio sito, non prima però di aver ottenuto il famoso PIN dispositivo di otto cifre, il decreto “Cura Italia” ha previsto anche l’istituzione del fondo per il reddito di ultima istanza. Si tratta di un fondo residuale per coprire tutti gli esclusi dall’indennizzo di 600 euro, compresi i professionisti iscritti agli ordini. Secondo quanto dichiarato dal Ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, avrebbero diritto all’indennità di 600 euro anche i liberi professionisti, che, però, hanno percepito nel periodo di imposta 2018 un reddito compreso tra i 35.000€ e i 50.000€ mila euro e hanno subito cali di attività pari almeno al 33% nei primi mesi del 2020 (rispetto al periodo 2019). Insomma, sembrerebbe il classico “vorrei ma non posso”. Tra i beneficiari di questo fondo dovrebbero (ma il condizione è d’obbligo) rientrare anche colf e badanti. Sono circa 850mila quelli regolari (con le irregolari si supera abbondantemente il milione). Ebbene anche costoro, a oggi, non hanno specifiche tutele. Non a caso sul sito del MEF, nelle nuove Faq, si scrive che la situazione di colf e badanti “è attualmente in considerazione, in vista di un loro inserimento tra i beneficiari del Fondo residuale previsto nell’articolo 44 del decreto “cura Italia”. Vedremo …
È prevista una moratoria dei finanziamenti a micro, piccole e medie imprese, che riguardano mutui, leasing, aperture di credito e finanziamenti a breve scadenza. Non rientrano, invece, i crediti al consumo. Ne hanno diritto anche i professionisti e i lavoratori autonomi. Per fare domanda occorre che il richiedente non abbia una esposizione debitoria c.d. “deteriorata”, cioè non deve avere rate scadute da più di 90 giorni. Attraverso dei semplici pro-forma, messi a disposizione dagli stessi istituti di credito da inoltrare attraverso pec, le imprese potranno chiedere la sospensione delle rate fino al 30 settembre 2020. È sufficiente autocertificare la temporanea carenza di liquidità in conseguenza dell’epidemia da Covid-19. È inoltre previsto il divieto di revoca, anche parziale, di fidi e di anticipi su crediti concessi fino al 17 marzo 2020. Anche tale divieto di revoca opera fino al 30 settembre 2020.
Per tutti i piccoli imprenditori e non costretti a sospendere la propria attività lavorativa per colpa dello stato di emergenza sanitaria e che, nonostante ciò, sono tenuti a corrispondere l’affitto dei locali il decreto “cura Italia” ha previsto un credito di imposta pari al 60% del canone di affitto pagato. Gli immobili che danno diritto allo sconto fiscale sono soltanto quelli rientranti nella categoria catastale C/1 (ovvero negozi e botteghe). Per poter godere della compensazione è necessario riportare sull’F24, nella sezione Erario alla colonna “importi a credito compensati”, il codice tributo 6914 (denominato “Credito d’imposta canoni di locazione botteghe e negozi – articolo 65 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18”), mentre l’importo di riferimento sarà quello del canone di locazione pagato nel mese di marzo 2020.
Sul punto, si è posto il problema se sia possibile estendere tale agevolazione a chiunque si trovi nella condizione di non poter pagare il canone di affitto. La disciplina non rientra nel menzionato decreto legge quanto invece all’art.1464 del c.c. che prevede “l’impossibilità parziale sopravvenuta”, all’art.1256 che prevede la “temporanea impossibilità a adempiere” e all’art. 1467 “eccessiva onerosità sopravvenuta”. In forza di tale disposizione normativa, l’affittuario potrebbe richiedere la sospensione o la riduzione dal pagamento dei canoni per tutto il periodo della sospensione dell’attività imposta dall’Autorità, dandone pronta comunicazione al locatore. Stante la delicatezza della questione però (potendo il mancato pagamento del canone comportare una serie conseguenze in termini di inadempimento e di responsabilità contrattuale) sarebbe meglio rivolgersi ad un legale per un esame delle specifiche clausole contrattuali e per valutare, conseguentemente, la migliore strategia adottabile nel caso concreto.
Non dimentichiamo infine il differimento delle scadenze, la sospensione dei versamenti e dei termini, fino al 31 maggio prossimo, per le attività di controllo, accertamento e riscossione da parte degli uffici dell’Agenzia delle Entrate. Ma il decreto “cura Italia”, in deroga allo Statuto del Contribuente, ha previsto anche la proroga di due anni dei termini di accertamento da parte dell’Ente impositore. Pertanto, a fronte di una sospensione dei versamenti di due mesi, l’Agenzia delle Entrate ha due anni in più per accertare il reddito dichiarato. La pluralità dei punti di vista, sui fatti e sui valori, funge da antidoto contro il pericolo delle verità assolute degli invasati, di cui parlava Norberto Bobbio in un suo scritto famoso.
Sarà il Dott. Roberto Miglietta, Revisore Contabile e CTU per il Tribunale di Lecce, Esperto ACCI impegnato per la difesa dei diritti dei Consumatori, che venerdì 3 Aprile alle ore 12,00 in diretta negli studi di Radio Puglia farà un approfondimento della tematica anche alla luce delle ultimissime direttive nazionali.
30 Marzo 2020
Il direttivo, ACCI Nazionale.
Numero Nazionale ACCI: 0808.40.66.84
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