Monopoli, il fotografo e la donna con il tamburo
Una suggestione del fotografo monopolitano, Antonio Livrieri, che proponiamo come foto di copertina, i ci permette di ricordare una delle più note leggende monopolitane, o favole del focolare se vogliamo, quella della “Donna con il tamburo”. Le storie di fantasmi spesso, anzi la maggior parte delle volte, affondano le proprie radici nella cultura popolare, in episodi magari veramente verificatisi nel corso della storia di un popolo e poi coloratisi di un alone di mistero sempre più fitto con l’andare dei secoli. Per trovare simili storie, o “incontrare tal genere di identità”, non è necessario recarsi negli affascinanti castelli della lontana Scozia o dell’Italia Centrale, o alla Scala di Milano dove albergherebbe il fantasma di Maria Callas, per citarne alcuni; Anche le mura di casa nostra, infatti, nascondono i “propri fantasmi” (non quelli del sindaco di turno!), non certo meno interessanti e misteriosi di quelli altrui. Quando negli anni sessanta ero ragazzino, giocavo con altri ragazzi coetanei sul porto vicino al castello o dietro al molo Margherita “ret i càscin” la mia mamma anche le altre per spaventarci specialmente di sera, non fate tardi “sèe nò ièss à signòra co ù tàmborr vi pegn è vi pàrt con ièdd miraccùmenn fègn mè” (non fate tardi se nò esce la signora con il tamburo vi prende e vi porta con sè, mi raccomanda figlio mio), ci riuscivano a spaventarci sempre, era buio. Strane presenze, fantasmi che infestano castelli. Anche a Monopoli, al Castello Carlo V, abbiamo il fantasma noto come “a fèmn e tàmborr”,”a signora co u tàmborr” ovvero la donna o la signora con il tamburo. La leggenda è diffusa soprattutto fra le famiglie monopolitani di pescatori e tutti quelli che abitavano nel centro storico vicino al porto zona castello, quando escono con i pescherecci per andare a lavorare narrano di udire, a volte, il suono di un tamburo. La sequenza ritmica proviene sempre dallo stesso punto, ovvero il balconcino che si affaccia sul mare del Castello Carlo V. Qualcuno sostiene di aver visto, nella notte o all’alba, una figura femminile con abiti bianchi e un tamburo. Altri, invece, sostengono che il fantasma si aggiri sul Molo Margherita, luogo frequentato abitualmente dalle coppiette in cerca di intimità: in questo caso la donna col tamburo li disturberebbe per preservare la castità delle ragazze monopolitane. L’ultima ipotesi che spiegherebbe la presenza della “donna con il tamburo” a Monopoli è legata alla dominazione spagnola: secondo alcuni, infatti, si tratterebbe di una donna spagnola che risiedeva nel castello con il proprio consorte il quale, partito per via mare, non fece più ritorno a casa avendo perso la vita a causa di un naufragio nelle acque antistanti il porto, il famoso Porto Aspergo di Monopoli, difficilmente accessibile e luogo di naufragi per tante navi. Da quel giorno, la donna disperata, nella speranza che il marito faccia ritorno a Monopoli, suona il tamburo per indicargli la giusta rotta. Vi sono poi, anche altre entità, folletti, presenze che vengono di tanto in tanto citati nei racconti dei nostri nonni. Si pensi ad esempio alla “jure”, folletto o animale favoloso, che disturberebbe il sonno delle persone mettendosi a dormire sulla pancia dando un fastidioso senso di soffocamento. Sovente la “jure” si diverte a fare le trecce alle criniere dei cavalli. Rimedio? Lasciare la scopa a testa in su così il “folletto” passerebbe, senza mai riuscirvi, tutta la notte a contare le setole. Si racconta che un’altra misteriosa presenza si trovasse all’interno di una villa neoclassica in campagna a Monopoli: lì “u munechicchje”, fantasma di un piccolo fraticello dispettoso, avrebbe avuto la sua dimora tormentandovi, tra l’altro, un pover’uomo che ogni mattina prima di andare al lavoro trovava sistematicamente le ruote della sua bicicletta sgonfie. Qualcuno potrebbe anche sorridere di fronte tal sorta di “storie”, nate forse come racconti del focolare, ma si tratti di leggenda o realtà, o forse entrambe le cose, viaggiare nel mondo di quelli che potremmo definire “fantasmi di casa nostra” rappresenta un tentativo di recuperare quegli elementi di cultura popolare, straordinariamente ricca, tramandatasi nel tempo e giunta fino ai nostri nonni e che oggi, nell’epoca della multimedialità e dell’informatica, rischia di sparire, nonostante l’indubbio fascino che potrebbe continuare ad esercitare anche al giorno d’oggi.