Sammichele – La storia del carnevale (PARTE 1)
di MARCELLA ZACCHEO – “Sand’Anduène: cande, fìscke e suéne”. Sammichele di Bari e il carnevale sono un unicum con la storia di questa piccola comunità. Sammichele nasce con appena 100 case stese in lunghezza lungo un unico asse viario, via Vaaz appunto, nel borgo antico. Il conte Miguel Vaaz è un ebreo portoghese che ha ricevuto l’onorificenza di conte dal viceré di Napoli per i suoi preziosi servigi resi al regno di Napoli durante un’epidemia di peste. Il ricco mercante ha ottenuto vasti possedimenti anche nell’odierna Casamassima, Mola, Noicattaro e Rutigliano. L’attuale territorio sammichelino fa parte di quello casamassimese, nel ‘600. Vaaz attrae su questo territorio qualche centinaio di braccianti per lavorare la propria terra. Nel corso dei secoli la comunità si espande e cambiano anche i feudatari. In seno al popolo del “Casale San Michele”, nome originario, crescono usi, costumi che divengono tradizioni.
Tra queste il carnevale con il suo tipico “festino” organizzato tra le mura domestiche. La tradizione, ancora molto sentita a Sammichele, viene spiegata e decodificata da un caposala e organizzatore di festini, Lorenzo Liotino. “I contadini inizialmente erano anche invitati a carnevale nel palazzo dal conte. Da un lato, c’era la curiosità di vedere quelle stanze così sontuose e piene di ogni lusso. Dall’altro lato, il conte aveva la curiosità di sapere nel popolo se serpeggiassero malumori o contestazioni”. L’accesso al palazzo è consentito esclusivamente gli ultimi giorni di carnevale, quando ogni regola è infranta e si consente una legittima goliardia in altri mesi dell’anno non tollerata. Quei balli pian piano si trasformano in consuetudine e il popolo del Casale ama ogni anno organizzare balli con mascherate di gruppo. “Negli anni ’60 ero un ragazzino e vivevo il festino come uno dei pochi momenti di spensieratezza – dice Liotino – non avevamo disponibilità economiche nelle nostre famiglie per potere divertirci”. Il padre di Lorenzo all’epoca è allevatore di ovini. Tuttavia, il giovanissimo Lorenzo ha il ritmo nel sangue. Altri capisala organizzano festini in paese. “La passione per la musica e il ballo è nel dna della mia famiglia, sin dai miei nonni. Mio padre è stato caposala di un festino negli anni ‘40”, dice. Insomma, sono consumati sulle fiamme dell’ardore per il ballo. “Mio padre non poteva sempre accompagnarci ma ci lasciava liberi di andare a ballare”, ricorda con esattezza. Ricorda i capisala dei festini dell’epoca: “Nicola Vittore, Nuccio Giardino, poi Bartolomeo Liotino, Susca, Giannini, Sabino patranett”. Come in tutti nostri paesi, si fa largo uso di soprannomi in senso amicale e affettuoso. Il festino diviene uno dei rari momenti in cui tra i due generi, maschile e femminile, si comunica. Nascono amori e matrimoni. Tutto in una società rigorosamente patriarcale e con una cultura contadina che vincola il lavoro nei campi alle scarne rendite economiche. “Anche per le ragazze il carnevale era l’unica possibilità di conoscere un ragazzo; non potevano andare da sole ma avevano obbligo di frequentare i festini con genitori e fratelli maschi che controllavano severamente la situazione”. (Prima parte)